Temo una cosa sola: di non essere degno del mio tormento
Fëdor Dostoevskij
Perché, se abbastanza persone lo vorranno, l’Associazione Amici di salvataggio vivrà? Per far sì che anche il dolore legato alla sopravvivenza diventi utile. La decisione di fondare questa onlus nata da sette amici, questa scommessa di accendere una lanterna nell’oscurità del più indicibile dei dolori, è legata alla capacità di dare un significato alla vita, sfida che si manifesta come non mai proprio nelle circostanze estreme dell’esistenza. Affinché, nonostante tutto, Alessandra e la sua voglia di aiutare gli altri possano continuare a vivere.
Temo una cosa sola: di non essere degno del mio tormento
Fëdor Dostoevskij
Cara Brunita, io combatto da più di un anno per avere un sostegno a Milano. Oltre alla psicoterapia sentivo il bisogno di un gruppo di sostegno per sopravvissuti, ma ho sempre trovato solo muri e porte chiuse, anche da parte di chi, a parole, sostiene di prendersi cura di persone in lutto, oppure persone incompetenti, non qualificate e prive di empatia. È scoraggiante, pensando a tutti i sopravvissuti abbandonati a se stessi.
In Aprile il mio compagno, si è suicidato. Non saprei neanche bene descrivere come mi sento. Un giorno disperata, il giorno dopo faccio finta di niente. Sicuramente non sto bene. Cerco gruppi di sostegno per sopravvissuti a Milano, gruppi strutturati e guidati da un professionista. Milano ne è carente. Vorrei confrontarmi con chi ha vissuto anche lui/lei sulla propria pelle questo tipo di dolore.
Ciao .. Sono una survivor. Da ormai talmente tanti anni, che fatico a portare il conto. Un quarto di secolo sicuro è passato da quel maledetto afosissimo giorno.. Lei era mia madre.. Era una persona molto sensibile, molto bella.. Generosa e talentuosa. Amante dell’arte, della moda... Profonda, attenta ai particolari..e io l’adoravo. .. La sua storia è profondamente simile a quella di Alessandra Appiano. Buffa la vita..! stamattina mi stavo appunto interrogando.. E mi dicevo che dopo tanto tempo avevo ancora domande irrisolte, cercando un segno.. Una forma di risposta. E nel pomeriggio m’imbattevo nell’articolo che parlava di Alessandra e questa associazione. Era tanto che non comunicavo così bene con l’aldilà. Ecco qua. Questo è tutto.
Siamo dentro la seconda estate dell’era Covid, a me risulta dal mio modesto osservatorio che ci sia un incremento dei suicidi e un malessere psichico di cui non si parla. Nel dibattito pubblico il tema è completamente assente, si parla talvolta dell’aumento dei suicidi negli adolescenti, ma se ne parla comunque poco e non si allarga ad altre fasce d’età che mi pare ne siano purtroppo coinvolte. Il tema rimane un tabù e questo non credo faccia per niente bene alla salute pubblica!
A gennaio 2020 il mio unico figlio ha deciso di andarsene. Per me sarebbe importante la presenza di gruppi di sostegno per sopravvissuti a Milano, non normali gruppi AMA ma gruppi strutturati e guidati da un professionista. Milano ne è carente, e mi sorprende che sia così. Sarebbe bello e utile se venisse promossa la creazione di tali gruppi, già presenti in molte altre zone d’Italia.
Mio fratello non riesco ancora oggi a pensare - tantomeno a scrivere - che si sia suicidato . Perché succede anche questo dopo . Che non si abbia la forza o il coraggio di parlarne. Dal giorno successivo alla sua morte è calata una cortina di silenzio assordante nella mia famiglia . Lui aveva 19 anni. Io 20. Ed era la mia vita. Vorrei che non succedesse a nessun altra famiglia ciò che è successo nella mia. Silenzio. Assordante silenzio . Come se fosse impossibile anche solo parlarne . . Come se non se ne potesse nemmeno accennare. Non ho mai pianto abbracciata e stretta ai miei genitori . Non ci siamo mai consolati. Pudore,troppo dolore che mozzava ogni parola. Paura -la mia- che chiedere di parlarne oscurasse quel pochissimo di luce che mi ostinavo a voler vedere ancora in fondo agli occhi dei miei genitori . Paura di aggiungere -con la mia richiesta di condivisione del dolore -quella ultima goccia in un vaso già stracolmo di buio . Paura che la mia goccia non potessero reggerla. Ad oggi nemmeno la dinamica della sua morte mi è completamente chiara . Ho 51 anni . E spesso cerco su internet il nome dell’avvocato che all ‘epoca seguí il caso. Sogno di essere seduta nel suo studio e di chiedergli ogni dettaglio sulla morte di mio fratello. Perché io ora quel peso lo posso portare. E volevo portarlo anche allora. E ciò che non si dice rimane intrappolato ed è un nodo che non si scioglie mai. Noi che in famiglia di parole ne avevamo per tutto per questa morte non le abbiamo sapute trovare. La mia mente non tiene a memoria nemmeno il giorno in cui lui è morto. Era settembre ,questo lo ricordo . Ed era la persona più bella che potessi sperare di chiamare fratello . Poi il buio per tanti anni cercando di rimanere a galla con le mie forze . Io ce l’ ho fatta . E mi dico brava ogni giorno . Chiedo ad ogni mamma e ad ogni papà di avere la forza -dopo -di toccare il fondo insieme ai figli che restano. Perché si può vivere felici anche dopo . Ma se lo si fa insieme è più facile .
Cara mamma, (...) parli di un gesto premeditato, in qualche modo non evitabile. Ma la depressione maggiore annulla la volontà di vivere, il depresso non è in sé, è soggetto a raptus ma in lui non può esserci nulla di veramente premeditato: per questo la corretta valutazione di chi è vicino ai malati, dei medici curanti e dalle protezioni che troppo spesso latitano è una questione di vita o di morte. Qui si gioca la nostra battaglia contro i tabù, anche se, certo, ogni caso, ogni vita fa storia a sé.
Sono la madre di un ragazzo malato di depressione maggiore che si è tolto la vita (...) non abbiamo potuto fare niente, è stata una scelta preparata e quindi razionale con la consapevolezza che era l’unico modo per uscire dall’inferno! Non mi arrendo e nel rispetto di mio figlio voglio conoscere questa malattia che ha portato un ragazzo bello, intelligente, amato da tutti a fare un gesto simile!
Salve, sono una sorella sopravvissuta ad un dolore straziante, ho assistito impotente alla depressione di mio fratello, un ragazzo bellissimo e intelligente, l’ho visto spegnersi giorno per giorno insieme ai miei genitori, senza riuscire a fare, senza riuscire a capire... Ho parlato con i medici che lo seguivano, li ho inseguiti e tampinati, ho cercato di dire loro chi fosse mio fratello oggi e chi invece era stato in passato, ho chiesto loro aiuto per lui e per noi... Ho ricevuto solo giudizi e sguardi più o meno compassionevoli, accuse di essere troppo ansiosi e oppressivo, e che lui era adulto e non dovevamo trattarlo come un bambino... Abbiamo abbassato la testa e fatto mea culpa, abbiamo seguito alla lettera quei pochi consigli elargiti con il contagocce, abbiamo dato retta a chi si diceva un professionista... Mio fratello si è tolto la vita il 3 luglio 2019, lasciandoci dei sensi di colpa che ci logorano Titti i santi giorni, ogni giorno da allora... I suoi medici continuano il loro lavoro e le loro vite.
X LE FAMIGLIE UN GRAN DOLORE X LA SOCIETÀ (COSIDDETTA CIVILE) UN GRAN DISONORE! CAPITARCI X CREDERCI! l’eretico
Forse era un masochista - divorato dai sensi di colpa, insoddisfatto delle Frustate che quotidianamente incassava. Forse non aveva bisogno di Telefono Amico. Forse é stato un grande uomo che con le Miserie Terrene, non aveva nulla da condividere. Forse. Forse. Forse.
“Nessuno conosce le ragioni di un suicidio, tantomeno chi si è suicidato” ha scritto Primo Levi a proposito del suicidio di Jean Améry. Altrettanto insondabile è il dolore di chi resta, tanto più per chi resta, perché nel mistero del suicidio si nasconde il mistero stesso dell’esistenza. “I superstiti si voltano indietro e scorgono presagi, messaggi di cui non si sono accorti”, ha scritto Joan Didion. E non smetteranno di cercarli anche guardando avanti, come si cerca un senso a questa vita anche quando questa vita non sembra averlo. Se credono, quei messaggi e quei presagi i survivors potranno cercarli anche in questa stanza raccontando la loro esperienza personale.
Nessuno conosce le ragioni di un suicidio, tantomeno chi si è suicidato
Primo Levi
A Cassandra 78 - Credo che DELBECCHI abbia ragione quando dice che conosciamo di più dell’universo che della mente umana, che resta insondabile. Il buddismo ammette il suicidio purché non si abbiano responsabilità verso altre persone, per cui mi verrebbe da dirle che non avrebbe dovuto tentarlo vista la responsabilità verso suo figlio, tralasciando il coniuge che dice di non aver mai amato; ma non la critico se penso che la sofferenza mentale è molto peggiore e tremenda di quella fisica, tanto che STELLA TENNANT, la famosa supermodella, dopo diversi anni di sofferenza mentale si è suicidata a 50 anni, nonostante 4 figli in età minore. Io invidio lei Sandra, perché comunque ha vissuto, cerchi di apprezzare quello che è riuscita a ottenere, io invece dai 16 anni ai 68 attuali, ho visto la mia vita trascorrere con estrema sofferenza mentale senza avere mai avuto la possibilità di parteciparvi.
Cara amica di salvataggio, grazie due volte Il primo grazie per averci scritto: il sito prende senso dal desiderio e dal coraggio di confrontarsi su questi temi considerati ancora dei tabù. L’appello è rivolto a tutti: terapeuti, pazienti, vittime, sopravvissuti e ogni persona sensibile. Il nostro sito o vivrà così, o non vivrà. Il secondo grazie per aver posto un tema fondamentale come la scelta del terapeuta. La compatibilità tra paziente e psichiatra o psicologo è decisiva. Una scelta sbagliata può rivelarsi irrimediabile, ma è estremamente difficile orientarsi. Bisogna saperlo. Riuscire a comunicare e a scambiare esperienze è un primo passo per muoversi nella selva oscura dei disturbi della mente, e delle sue cure.
Salve. Ho letto con attenzione l’articolo di Vito Oliva e denuncia una verità sacrosanta che io ho vissuto. Mio figlio di 23 anni, 4^ anno di medicina alla statale di Milano con ottimo profitto e un imminente diploma in percussioni presso il conservatorio della nostra città, si è tolto la vita .Nell’ultimo periodo della sua vita stava affrontando una profonda crisi. Leggi tutto...
Grazie di averci scritto e di darci la prova che questo sito può aiutare "quelli che restano" a uscire da se stessi, e dal proprio solitario interrogarsi. Un modo per scambiare e condividere strategie di sopravvivenza insieme agli altri. Certi dolori non se ne vanno, restano, questo scoprono i survivors; ma si può imparare a conviverci.
Da quando mio figlio Elia non c’è più, proprio da subito, ho cercato in rete delle testimonianze di altri genitori sopravvissuti come me, mi sono iscritta ad esempio al gruppo Usciamo allo Scoperto dell’associazione Soproxi, al gruppo Amici di Paninabella e Il Pesciolino Rosso, ho letto molti libri, alcuni sul suicidio e sul disagio giovanile, altri contenenti testimonianze vere, come i libri di Stefania Casavecchia del gruppo AMA di Cepriano e dello psicoterapeuta Antonio Loperfido. Leggi tutto...
La vita mi ha inflitto dolore sin da bambina con una famiglia in cui ho vissuto con un perenne senso d’instabilita’, di diversita’, d’inadeguatezza. Bambini della mia stessa età che mi prendevano in giro perché mio padre quando avevo 8 anni morì di tumore, sentire a quell’età tutte le notti tua madre che piange convinta che tu non la senta, la mattina piena di antidepressivi Lei mi svegliava per mandarmi a scuola e non si rendeva conto che fuori era ancora buio e così io attendevo l’ apertura della scuola da sola seduta in silenzio sui gradini e oltre al freddo che sentivo dentro di me c’era il gelo del mattino. Leggi tutto...
Era il migliore amico di mio marito. Erano “fratelli” da quando avevano 11 anni. Era diventato così anche il mio migliore amico, e sua moglie una sorella. Le estate in vacanza insieme con i nostri figli bambini, le feste; ci vedevamo poco perché abitavamo a 300 km di distanza. Ma ogni volta erano solo abbracci e tante tante parole. Leggi tutto...
Mio figlio Edo se ne è andato il 27 aprile 2019 in una bellissima giornata di sole, aveva 23 anni, bello dentro e bello fuori, non avrei potuto desiderare di meglio. La "crisi" che lo aveva avvolto e non lo lasciava era iniziata 3 anni prima. Leggi tutto...
I libri amati da Alessandra, i libri che sondano il mistero doloroso della depressione, i libri che affrontano “il solo problema filosofico veramente serio: quello del suicidio” (Albert Camus). In ogni stanza del sito c'è posto per una serie di consigli di lettura coerenti ai temi trattati. Chiunque ha facoltà di proporre e motivare i propri titoli.
Il salto (Sarah Manguso, NN Editore 2017, traduzione Gioia Guerzoni) è il memoir di una ricerca, quello di Sarah Manguso: del motivo per cui il suo amico Harris si è tolto la vita, e di una consolazione al dolore. “Harris […] aveva camminato per dieci ore prima di gettarsi di fronte al bagliore sui binari. Non importa se mi aveva pensato, se avrebbe voluto chiamarmi, se gli ero mancata, se era arrabbiato con me, ma è impossibile non cercare di entrare nella scatola nera di una mente abbandonata a se stessa. Deve avere una sua bellezza, la fine. Lasciare che il vento ti soffi in faccia quando il treno entra sfrecciando in stazione. Immaginare che la tua vita ti venga incontro come un’onda. Cerco di credere che Harris abbia chiamato a raccolta tutta la bellezza della sua vita. Mi consola pensare che l’energia apparentemente perduta si è solo spostata altrove, è stata restituita al sistema del mondo. […] A cosa serve il dolore? Spiegazione meccanica: il dolore sposta la mia attenzione su una ferita o un trauma e si placa quando la ferita viene medicata o il trauma risolto. Il dolore della perdita si attenua se sostituisco quello che ho perso o mi adatto ad accettare la perdita per sempre. Spiegazione evolutiva: il dolore è un sottoprodotto dell’attaccamento negli animali sociali. Il dolore della perdita mi insegna a prevenire la potenziale perdita di un familiare. Spiegazione religiosa: Dio, creatore di tutto, sa. La vita è soltanto una sfida, ben presto vivrò di nuovo in paradiso. Spiegazione reale: l’amore rimane. Non c’è altro conforto.”
Sarah Manguso, Il salto, NN Editore
“La vita cambia in fretta. La vita cambia in un istante. Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.” Joan Didion racconta la perdita improvvisa, istantanea del marito John, e da lì nasce l’istinto di risalire la corrente dei ricordi inseparabili, degli anni trascorsi in simbiosi, ma anche l’istinto di intercettare i segni che qualcosa sopravvive alla perdita, la prova che tra passato e futuro non c’è un muro invalicabile. L’anno del pensiero magico è quello in cui la vita pare parlarci al di là della ragione, e il cuore è in ascolto. Ma poi? Quando la vita cambia, osserva Joan Didion in questa autobiografia del dolore, anche a noi tocca la stessa sorte.
• Joan Didion, L’anno del pensiero magico, Il SaggiatoreJonathan Franzen parte per uno sperduto isolotto a largo delle coste cilene; in quei giorni di scoperta della natura selvaggia e assoluta solitudine ha con sé una copia di Robinson Crusoe e una manciata delle ceneri dell’amico fraterno David Foster Wallace, che la vedova di David gli ha chiesto di disperdere nell’oceano. Interrogandosi a lungo sulle ragioni del suicidio del suo gemello diverso, Franzen oscilla tra la rabbia, il rimpianto, il dolore e perfino l’invidia. A un tratto è colto da un’illuminazione. Il suo interesse per l’osservazione degli uccelli rari è la ragione che lo protegge dall’idea della morte, David invece non aveva nulla di simile nella sua vita, nulla che lo interessasse a parte il proprio lavoro di scrittore. E qui si tocca un punto nodale della sindrome depressiva nelle personalità artistiche: l’incapacità di uscire da sé, l’essere tutt’uno con la propria ossessione.
• Jonathan Franzen, Più lontano ancora, EinaudiSe proprio siete determinati a farlo, se non vedete alternative possibili alla vostra fine, bene, concedetevi ancora un paio d’ore e date un’occhiata a “Piccoli suicidi tra amici” di Arto Paasilinna, ex guardiaboschi, ex giornalista, ex poeta, che apre il suo libro con una serissima dedica proverbio: “In questa vita la cosa più seria è la morte; ma neanche quella più di tanto”. Parola di uno scrittore finnico che vi farà schiantare dalla sua serissima leggerezza: “Il più formidabile nemico dei finlandesi è la malinconia, l’introversione, una sconfinata apatia. Il peso dell’afflizione è tale da indurre parecchi finlandesi a vedere nella morte l’unico sollievo. La malinconia è un avversario più spietato dell’Unione Sovietica”. E allora, perché no, non costituire anche noi la Libera Associazione Morituri Anonimi e partire a bordo del lussuoso pullman Saetta della Morte per un viaggio da un capo all’altro dell’Europa alla ricerca del migliore strapiombo da cui lanciarsi nel vuoto?
• Arto Paasilinna, Piccoli suicidi tra amici, Iperborea (segnalato da Vito)Imparare a camminare, da bambini, è compiere un’impresa gigante; ed è qualcosa che siamo convinti non dimenticheremo mai più, un po’ come si dice dell’andare in bicicletta. Invece, ciò che non sappiamo è che dovremo imparare ancora tante, tante volte a camminare (che, per dirla con Marcela Serrano, è un verbo che presuppone movimento): imparare a camminare con una perdita. Nel suo romanzo da me più amato, Peter Cameron lo espone in modo icastico, terragno e toccante: "Ci sono cose che si perdono e non tornano indietro; non si possono riavere mai più, se non nella carta carbone della memoria. Ci sono cose a cui sembra impossibile rassegnarsi ma a cui rassegnarsi è inevitabile. Lo scorrere dei giorni leviga il dolore ma non lo consuma: quello che il tempo si porta via è andato, e poi si resta con un qualcosa di freddo e duro, un souvenir che non si perde mai. Un piccolo bassotto di porcellana delle White Mountains. Una marionetta del teatro delle ombre di Bali. E guarda: un calzascarpe d'avorio di un hotel a quattro stelle di Zurigo. E qua, come un sasso che porto ovunque, c'è un pezzetto di cuore altrui che ho conservato da un vecchio viaggio”.
• Peter Cameron, Il weekend, Adelphi 2013, traduzione di Giuseppina Oneto. (segnalato da Sarah)“Il suicidio è un atto conscio di auto-annientamento, meglio definibile come uno stato di malessere generalizzato in un individuo bisognoso che, alle prese con un problema, considera il suicidio come la migliore soluzione”. Questa definizione di Edwin Shneidman è il punto di partenza del saggio di Maurizio Pompili, medico psichiatra, tra i più eminenti suicidologi al mondo: “Coloro che pensano al suicidio (o che tragicamente si suicidano) vogliono vivere, ma dopo un lungo meditare sono giunti alla conclusione che la loro sofferenza, per diverse ragioni. non possa avere fine.” Perché? Pompili offre un’analisi del suicidio quale fenomeno complesso, che va compreso alla luce di fattori biopsicosociali, ambientali e socioculturali non prevedibile nemmeno da chi lo compie, per cui la valutazione degli individui “a rischio” deve poter basarsi su quante più informazioni possibili: “Gli individui che hanno intenzione di suicidarsi vogliono assolutamente essere salvati ma il desiderio di vivere e quello di morire sono in equilibrio precario.” L’ultima parte del libro è dedicata ai survivors che hanno perso un loro caro per suicidio, la più grande comunità di vittime nell’area della salute mentale. La ricerca del perché è un processo lungo, precisa Pompili, il tempo da solo non è sufficiente all’elaborazione della perdita, è fondamentale poter contare su professionisti capaci di interagire con il survivor. Sulle orme di Shneidman, il saggio include un elenco degli otto passi decisivi nella postvention, e sottolinea l’importanza di programmi specifici anche per i survivors.
• Maurizio Pompili, La prevenzione del suicidio, il Mulino, 2020 (segnalato da Valeria Camia)