di Vito Oliva
3 giugno 2018: Alessandra sfugge dopo 17 giorni al lockdown clinico e pervasa di psicofarmaci fugge via dal cornicione basso di un solarium di un albergone milanese.
3 giugno 2020: dopo 3 mesi finisce il primo lockdown dell’era Covid e si riaprono i recinti delle italiche stalle regionali.
Dicono che il virus è un veleno che può provocare la morte. Un parassita che s’impossessa della mente come la depressione maggiore.
Oppure una gocciolina droplet che ti entra nella bocca, nel naso o negli occhi insufflando SARS-CoV-2 nei polmoni.
Sino ad esalare l’ultimo respiro dell’anima, dello spirito
Che senso ha mettere in relazione la depressione e l’ultima delle pandemie? Sono convinto che Alessandra oggi indosserebbe con noi la mascherina.
“E’ andato tutto dal culo – direbbe - e pensare che due anni fa mi trovavo sull’orlo del baratro”. Un mutamento della percezione dell’esistenza nel ballo in maschera
di un mondo accozzato e rintanato da un virus sconosciuto che balla nell’aria ponendo fine a certezze secolari e globali.
Giorni e giorni di lockdown, murati vivi con la solitudine, la famiglia, la casa, un luogo decretato dal caso, sono bastati per farci perdere quelle sicurezze
che davano un senso alla nostra vita.
E di fronte alla frana dei significati, dinanzi a quel vuoto planetario, chi invece s’era già smarrita nella selva oscura della perdita del senso si ritrovava d’un tratto in coda al supermercato con la mascherina, distanziata ma circondata da persone come lei disorientate, smarrite, svuotate. Grazie Covid, mormorava dentro di sé nascosta dalla mascherina: ora non avrebbe più senso farla finita. E si ficcava le dita nelle orecchie tappate dal cerume di una vita che avevano reso i rumori, le voci sempre più lontani sullo sfondo. Ovattati.
Lo so, non siete d’accordo. I dati, gli esperti sostenevano il contrario: i suicidi erano aumentati dopo la perdita di una persona cara in una casa di cura per anziani,
del posto di lavoro, delle sicurezze economiche, delle prospettive di vita. Insomma una una lunga fila di potenziali depressi.
Ma intanto lei provava a masticare, a sbadigliare, a deglutire, a respirare. Con dei bang! di tuono improvvisi che per una frazione di secondo
facevano sentire le frequenze più alte, i fruscii della vita, dell’anima, dello spirito. Forse perché aveva ritrovato un “se” smarrito dalla ricerca di un senso senza senso
che il virus aveva svelato proprio a tutti.