Temo una cosa sola: di non essere degno del mio tormento
Fëdor Dostoevskij
Perché, se abbastanza persone lo vorranno, l’Associazione Amici di salvataggio vivrà? Per far sì che anche il dolore legato alla sopravvivenza diventi utile. La decisione di fondare questa onlus nata da sette amici, questa scommessa di accendere una lanterna nell’oscurità del più indicibile dei dolori, è legata alla capacità di dare un significato alla vita, sfida che si manifesta come non mai proprio nelle circostanze estreme dell’esistenza. Affinché, nonostante tutto, Alessandra e la sua voglia di aiutare gli altri possano continuare a vivere.
Temo una cosa sola: di non essere degno del mio tormento
Fëdor Dostoevskij
Sono la madre di un ragazzo malato di depressione maggiore che si è tolto la vita (...) non abbiamo potuto fare niente, è stata una scelta preparata e quindi razionale con la consapevolezza che era l’unico modo per uscire dall’inferno! Non mi arrendo e nel rispetto di mio figlio voglio conoscere questa malattia che ha portato un ragazzo bello, intelligente, amato da tutti a fare un gesto simile!
Cara mamma, (...) parli di un gesto premeditato, in qualche modo non evitabile. Ma la depressione maggiore annulla la volontà di vivere, il depresso non è in sé, è soggetto a raptus ma in lui non può esserci nulla di veramente premeditato: per questo la corretta valutazione di chi è vicino ai malati, dei medici curanti e dalle protezioni che troppo spesso latitano è una questione di vita o di morte. Qui si gioca la nostra battaglia contro i tabù, anche se, certo, ogni caso, ogni vita fa storia a sé.
Salve, sono una sorella sopravvissuta ad un dolore straziante, ho assistito impotente alla depressione di mio fratello, un ragazzo bellissimo e intelligente, l’ho visto spegnersi giorno per giorno insieme ai miei genitori, senza riuscire a fare, senza riuscire a capire... Ho parlato con i medici che lo seguivano, li ho inseguiti e tampinati, ho cercato di dire loro chi fosse mio fratello oggi e chi invece era stato in passato, ho chiesto loro aiuto per lui e per noi... Ho ricevuto solo giudizi e sguardi più o meno compassionevoli, accuse di essere troppo ansiosi e oppressivo, e che lui era adulto e non dovevamo trattarlo come un bambino... Abbiamo abbassato la testa e fatto mea culpa, abbiamo seguito alla lettera quei pochi consigli elargiti con il contagocce, abbiamo dato retta a chi si diceva un professionista... Mio fratello si è tolto la vita il 3 luglio 2019, lasciandoci dei sensi di colpa che ci logorano Titti i santi giorni, ogni giorno da allora... I suoi medici continuano il loro lavoro e le loro vite.
X LE FAMIGLIE UN GRAN DOLORE X LA SOCIETÀ (COSIDDETTA CIVILE) UN GRAN DISONORE! CAPITARCI X CREDERCI! l’eretico
Forse era un masochista - divorato dai sensi di colpa, insoddisfatto delle Frustate che quotidianamente incassava. Forse non aveva bisogno di Telefono Amico. Forse é stato un grande uomo che con le Miserie Terrene, non aveva nulla da condividere. Forse. Forse. Forse.
“Nessuno conosce le ragioni di un suicidio, tantomeno chi si è suicidato” ha scritto Primo Levi a proposito del suicidio di Jean Améry. Altrettanto insondabile è il dolore di chi resta, tanto più per chi resta, perché nel mistero del suicidio si nasconde il mistero stesso dell’esistenza. “I superstiti si voltano indietro e scorgono presagi, messaggi di cui non si sono accorti”, ha scritto Joan Didion. E non smetteranno di cercarli anche guardando avanti, come si cerca un senso a questa vita anche quando questa vita non sembra averlo. Se credono, quei messaggi e quei presagi i survivors potranno cercarli anche in questa stanza raccontando la loro esperienza personale.
Nessuno conosce le ragioni di un suicidio, tantomeno chi si è suicidato
Primo Levi
Salve. Ho letto con attenzione l’articolo di Vito Oliva e denuncia una verità sacrosanta che io ho vissuto. Mio figlio di 23 anni, 4^ anno di medicina alla statale di Milano con ottimo profitto e un imminente diploma in percussioni presso il conservatorio della nostra città, si è tolto la vita .Nell’ultimo periodo della sua vita stava affrontando una profonda crisi. Leggi tutto...
Cara amica di salvataggio, grazie due volte Il primo grazie per averci scritto: il sito prende senso dal desiderio e dal coraggio di confrontarsi su questi temi considerati ancora dei tabù. L’appello è rivolto a tutti: terapeuti, pazienti, vittime, sopravvissuti e ogni persona sensibile. Il nostro sito o vivrà così, o non vivrà. Il secondo grazie per aver posto un tema fondamentale come la scelta del terapeuta. La compatibilità tra paziente e psichiatra o psicologo è decisiva. Una scelta sbagliata può rivelarsi irrimediabile, ma è estremamente difficile orientarsi. Bisogna saperlo. Riuscire a comunicare e a scambiare esperienze è un primo passo per muoversi nella selva oscura dei disturbi della mente, e delle sue cure.
Da quando mio figlio Elia non c’è più, proprio da subito, ho cercato in rete delle testimonianze di altri genitori sopravvissuti come me, mi sono iscritta ad esempio al gruppo Usciamo allo Scoperto dell’associazione Soproxi, al gruppo Amici di Paninabella e Il Pesciolino Rosso, ho letto molti libri, alcuni sul suicidio e sul disagio giovanile, altri contenenti testimonianze vere, come i libri di Stefania Casavecchia del gruppo AMA di Cepriano e dello psicoterapeuta Antonio Loperfido. Leggi tutto...
Grazie di averci scritto e di darci la prova che questo sito può aiutare "quelli che restano" a uscire da se stessi, e dal proprio solitario interrogarsi. Un modo per scambiare e condividere strategie di sopravvivenza insieme agli altri. Certi dolori non se ne vanno, restano, questo scoprono i survivors; ma si può imparare a conviverci.
La vita mi ha inflitto dolore sin da bambina con una famiglia in cui ho vissuto con un perenne senso d’instabilita’, di diversita’, d’inadeguatezza. Bambini della mia stessa età che mi prendevano in giro perché mio padre quando avevo 8 anni morì di tumore, sentire a quell’età tutte le notti tua madre che piange convinta che tu non la senta, la mattina piena di antidepressivi Lei mi svegliava per mandarmi a scuola e non si rendeva conto che fuori era ancora buio e così io attendevo l’ apertura della scuola da sola seduta in silenzio sui gradini e oltre al freddo che sentivo dentro di me c’era il gelo del mattino. Leggi tutto...
Era il migliore amico di mio marito. Erano “fratelli” da quando avevano 11 anni. Era diventato così anche il mio migliore amico, e sua moglie una sorella. Le estate in vacanza insieme con i nostri figli bambini, le feste; ci vedevamo poco perché abitavamo a 300 km di distanza. Ma ogni volta erano solo abbracci e tante tante parole. Leggi tutto...
Mio figlio Edo se ne è andato il 27 aprile 2019 in una bellissima giornata di sole, aveva 23 anni, bello dentro e bello fuori, non avrei potuto desiderare di meglio. La "crisi" che lo aveva avvolto e non lo lasciava era iniziata 3 anni prima. Leggi tutto...
I libri amati da Alessandra, i libri che sondano il mistero doloroso della depressione, i libri che affrontano “il solo problema filosofico veramente serio: quello del suicidio” (Albert Camus). In ogni stanza del sito c'è posto per una serie di consigli di lettura coerenti ai temi trattati. Chiunque ha facoltà di proporre e motivare i propri titoli.
Il salto (Sarah Manguso, NN Editore 2017, traduzione Gioia Guerzoni) è il memoir di una ricerca, quello di Sarah Manguso: del motivo per cui il suo amico Harris si è tolto la vita, e di una consolazione al dolore. “Harris […] aveva camminato per dieci ore prima di gettarsi di fronte al bagliore sui binari. Non importa se mi aveva pensato, se avrebbe voluto chiamarmi, se gli ero mancata, se era arrabbiato con me, ma è impossibile non cercare di entrare nella scatola nera di una mente abbandonata a se stessa. Deve avere una sua bellezza, la fine. Lasciare che il vento ti soffi in faccia quando il treno entra sfrecciando in stazione. Immaginare che la tua vita ti venga incontro come un’onda. Cerco di credere che Harris abbia chiamato a raccolta tutta la bellezza della sua vita. Mi consola pensare che l’energia apparentemente perduta si è solo spostata altrove, è stata restituita al sistema del mondo. […] A cosa serve il dolore? Spiegazione meccanica: il dolore sposta la mia attenzione su una ferita o un trauma e si placa quando la ferita viene medicata o il trauma risolto. Il dolore della perdita si attenua se sostituisco quello che ho perso o mi adatto ad accettare la perdita per sempre. Spiegazione evolutiva: il dolore è un sottoprodotto dell’attaccamento negli animali sociali. Il dolore della perdita mi insegna a prevenire la potenziale perdita di un familiare. Spiegazione religiosa: Dio, creatore di tutto, sa. La vita è soltanto una sfida, ben presto vivrò di nuovo in paradiso. Spiegazione reale: l’amore rimane. Non c’è altro conforto.”
Sarah Manguso, Il salto, NN Editore
“La vita cambia in fretta. La vita cambia in un istante. Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.” Joan Didion racconta la perdita improvvisa, istantanea del marito John, e da lì nasce l’istinto di risalire la corrente dei ricordi inseparabili, degli anni trascorsi in simbiosi, ma anche l’istinto di intercettare i segni che qualcosa sopravvive alla perdita, la prova che tra passato e futuro non c’è un muro invalicabile. L’anno del pensiero magico è quello in cui la vita pare parlarci al di là della ragione, e il cuore è in ascolto. Ma poi? Quando la vita cambia, osserva Joan Didion in questa autobiografia del dolore, anche a noi tocca la stessa sorte.
• Joan Didion, L’anno del pensiero magico, Il SaggiatoreJonathan Franzen parte per uno sperduto isolotto a largo delle coste cilene; in quei giorni di scoperta della natura selvaggia e assoluta solitudine ha con sé una copia di Robinson Crusoe e una manciata delle ceneri dell’amico fraterno David Foster Wallace, che la vedova di David gli ha chiesto di disperdere nell’oceano. Interrogandosi a lungo sulle ragioni del suicidio del suo gemello diverso, Franzen oscilla tra la rabbia, il rimpianto, il dolore e perfino l’invidia. A un tratto è colto da un’illuminazione. Il suo interesse per l’osservazione degli uccelli rari è la ragione che lo protegge dall’idea della morte, David invece non aveva nulla di simile nella sua vita, nulla che lo interessasse a parte il proprio lavoro di scrittore. E qui si tocca un punto nodale della sindrome depressiva nelle personalità artistiche: l’incapacità di uscire da sé, l’essere tutt’uno con la propria ossessione.
• Jonathan Franzen, Più lontano ancora, EinaudiSe proprio siete determinati a farlo, se non vedete alternative possibili alla vostra fine, bene, concedetevi ancora un paio d’ore e date un’occhiata a “Piccoli suicidi tra amici” di Arto Paasilinna, ex guardiaboschi, ex giornalista, ex poeta, che apre il suo libro con una serissima dedica proverbio: “In questa vita la cosa più seria è la morte; ma neanche quella più di tanto”. Parola di uno scrittore finnico che vi farà schiantare dalla sua serissima leggerezza: “Il più formidabile nemico dei finlandesi è la malinconia, l’introversione, una sconfinata apatia. Il peso dell’afflizione è tale da indurre parecchi finlandesi a vedere nella morte l’unico sollievo. La malinconia è un avversario più spietato dell’Unione Sovietica”. E allora, perché no, non costituire anche noi la Libera Associazione Morituri Anonimi e partire a bordo del lussuoso pullman Saetta della Morte per un viaggio da un capo all’altro dell’Europa alla ricerca del migliore strapiombo da cui lanciarsi nel vuoto?
• Arto Paasilinna, Piccoli suicidi tra amici, Iperborea (segnalato da Vito)Imparare a camminare, da bambini, è compiere un’impresa gigante; ed è qualcosa che siamo convinti non dimenticheremo mai più, un po’ come si dice dell’andare in bicicletta. Invece, ciò che non sappiamo è che dovremo imparare ancora tante, tante volte a camminare (che, per dirla con Marcela Serrano, è un verbo che presuppone movimento): imparare a camminare con una perdita. Nel suo romanzo da me più amato, Peter Cameron lo espone in modo icastico, terragno e toccante: "Ci sono cose che si perdono e non tornano indietro; non si possono riavere mai più, se non nella carta carbone della memoria. Ci sono cose a cui sembra impossibile rassegnarsi ma a cui rassegnarsi è inevitabile. Lo scorrere dei giorni leviga il dolore ma non lo consuma: quello che il tempo si porta via è andato, e poi si resta con un qualcosa di freddo e duro, un souvenir che non si perde mai. Un piccolo bassotto di porcellana delle White Mountains. Una marionetta del teatro delle ombre di Bali. E guarda: un calzascarpe d'avorio di un hotel a quattro stelle di Zurigo. E qua, come un sasso che porto ovunque, c'è un pezzetto di cuore altrui che ho conservato da un vecchio viaggio”.
• Peter Cameron, Il weekend, Adelphi 2013, traduzione di Giuseppina Oneto. (segnalato da Sarah)